Al via la Quarta Edizione di GIRAMONDO Film
Crazy Heart
di Scott Cooper (Usa, 2009)
23 novembre 2010
"Cinema di luoghi più che di volti, tutti troppo puliti, ma per fortuna c'è Jeff"
Miglior Attore e Miglio Canzone Oscar 2010, Golden Globes 2010
Un vecchio cantante di musica country, ormai caduto in rovina, con alle spalle diversi matrimoni, molta strada e molto alcool, cerca di ridare un senso alla propria carriera ed alla propria vita, grazie all'energia che gli arriva dalla relazione con una giovane giornalista...
LA FRASE DA RICORDARE
"E' bello essere qui con voi stasera...a dire il vero alla mia età è bello essere ovunque."
14 kilometros
di Gerardo Olivares (Spagna, 207)
16 novembre 2010
"L'amarezza della fuga dalla propria origine"
Spiga d'oro al festival di Valladolid 2010
"..."
Marpiccolo
di Alessandro Di Robilant (Italia, 2009)
9 novembre 2010
"Gomorra tarantina raccontata con forza ed epica realista"
Festival del cinema di Roma
"Il destino serve solo a non prendersi responsabilità"
Il film 'Marpiccolo' è stato presentato in conferenza stampa a Roma dal regista Alessandro Di Robilant, dal produttore Marco Donati, dagli attori Giulio Beranek, Anna Ferruzzo, Selenia Orzella, Giorgio Colangeli e Valentina Carnelutti.
Perchè la scelta di parlare dell'Ilva?
Alessandro Di Robilant: E' avvenuta abbastanza casualmente, il copione non aveva l'indicazione di una città. Sentivamo l'esigenza di un luogo cinematograficamente poco frequentato, e Taranto lo era. L'ho attraversata e mi è sembrata ideale, unisce un'anima greca con una cintura industriale e proprio questo la rende bella, però solo sotto il profilo estetico.
Secondo quanto detto nel film, lo stabilimetno è responsabile di un decimo dell'inquinamento europeo...
Alessandro Di Robilant: Sono dati reali, per la presenza di diossina Taranto è la terza città europea più inquinata e non mi pare che per affrontare il problema si faccia più di tanto. Chi viene da fuori, lo sente respirando. Si capisce dall'odore e dal colore, la città è cosparsa di una polvere rossa.
La storia come è nata?
Alessandro Di Robilant: E' una conseguenza del libro, la trama nasce lì e poi è stata sviluppata nel copione, dove si unisce alla storia di un protagonista che si attaglia perfettamente al quartiere di ambientazione. E' stato un lavoro progressivo.
Quali le differenze rispetto al libro?
Alessandro Di Robilant: Il libro racconta di quartieri difficili, e anche nel film c'è una storia difficile in un ambiente difficile, ma non volevamo solo un'opera di denuncia. Il libro è più nero, mentre - sviluppando il film - progressivamente il racconto ha assunto una maggiore positività perchè siamo stati sensibili rispetto alla reatà che ci siamo trovati di fronte. Quello che ci ha colpito molto, e come cosa bella, è che in un luogo di disagio non è vero che ci sia un'umanità umiliata e offesa, rasente i muri, ma piuttosto vivace, reattiva, partecipe, solidale. Soprattutto quella femminile, le donne sono straordinarie per forza e capacità di reggere situazioni molto dure.
Dei due finali, qual'è quello onirico?
Alessandro Di Robilant: Quello in cui Tiziano (il protagonista, ndr) muore. Questa visione lo spinge ulteriormente ad andar via, magari per poi tornare, in seguito.
La reazione, in generale, può esser solo quella di andar via?
Alessandro Di Robilant: Forse oggi è l'unica maniera, con quel suo percorso Tiziano ha la necessità di dare un taglio, mettere un punto. Non esclude di tornare, ma dopo un resettaggio. Taranto è una città che ha perso fiducia, i problemi sono evidenti ma non vengono messi all'ordine del giorno. Molti vorrebbero cambiare la situazione, ma non so se oggi ci siano le premesse.
Anna Ferruzzo: La decisione di Tiziano di partire è dovuta anche al fallimento del mio personaggio (la madre, ndr), che fa rientrare il marito in casa. Quel passaggio permette a Tiziano di staccarsi. Di solito, in quel contesto accetti la situazione per abitudine e perchè non capisci che esistono altri contesti. L'allontanamento fa parte della crescita, consente poi di tornare con maturità, consapevolezza e occhi diversi.
Giorgio Colangeli: Il film ha il coraggio di far vedere quello che funziona, come dimostrano l'insegnante e l'educatore. C'è vita anche in chi sta male, i nostri interlocutori in quei luoghi non sono debilitati dalle tragedie, aspettano un rapporto. E' un film positivo e ottimista, ed è questo il vero coraggio. Andarsene non è una fuga, ma una strategia di sopravvivenza, un Erasmus. Quando si esce da un contesto, poi si vede meglio da dove si viene. Un po' come succede nel presbitismo.
In quella terribile situazione, nel film c'è l'oasi dell'istituto di rieducazione...
Alessandro Di Robilant: Non corrisponde esattamente alla realtà dell'istituto che abbiamo visitato, ma c'è sempre la possibilità di avere a che fare con figure straordinarie in luoghi di grandi difficoltà retti sulle spalle da persone che lavorano da sole, silenziosamente e senza ringraziamenti. Ne ho incontrate spesso.
E' anche una storia di crescita...
Selenia Orzella: I due aspetti che mi piacciono di più nel mio personaggio sono la forza, nonostante l'età, di venir fuori da una situazione e di trascinarne fuori Tiziano. E poi, nonostante questa forza, la dolcezza che mette nella storia d'amore.
Giulio Beranek: Il comportamento del mio personaggio è realissimo in quel quartiere, come anche la spinta ad uscirne. Penso che in certi quartieri sia possibile solo la fuga. Chi non è figlio di qualcuno, e ha dei problemi, per non rimanere in contatto con una certa situazione se ne deve andare. Le istituzioni dovrebbero offrire possibilità di studio e di lavoro perchè, se se ne vanno i buoni, lì restano sempre gli stessi.
Il film individua una via di fuga anche nella cultura...
Valentina Carnelutti: Per il mio personaggio due sono le cose fondamentali: la fiducia nella cultura come possibilità di cambiamento e una consapevolezza utile a non farsi prendere in giro. Un altro elemento in più è la pratica, come insegnante. Avevo 4 frammenti di tempo per far capire che la cultura ha un senso e un valore, e anche nella vita ci sono poche occasioni, in cui le cose vanno incanalate con precisione.
Non è il primo film in cui parla dei problemi del meridione...
Alessandro Di Robilant: A spingermi è l'amore per il Sud, il luogo dove mi trovo meglio, e dove trovo nei rapporti quello che in passato mi è mancato. I miei film che mi stanno più a cuore sono quelli che ho girato lì, ma di soluzioni non ne potrei dare.
Com'è stato il lavoro con due giovani?
Alessandro Di Robilant: di grande facilità, per me il principale valore di un regista è intuire prima di cominciare, gran parte del lavoro consiste nello scegliere l'attore giusto. Giulio Beranek ha un'esperienza personale evidente, una famiglia internazionale abituata a stare insieme a persone di diverse provenienze. Il bagaglio personale è fondamentale, io poi l'ho aiutato a stare a suo agio e a portare in scena sé stesso. Selenia Orzella ha una formazione e una disciplina, è andata presto via di casa per stare 6 anni in un collegio, e tutto questo i due ce lo hanno dato.
I costi?
Marco Donati: è un film "low budget", rispetto ai normali 3-4 milioni ne è costati 1,3. Considerato che siamo partiti senza soldi, è andata bene. E anche il fatto che il progetto è partito nel 2005 e terminato nel 2008.
Come sono stati distribuiti tra i soggetti coinvolti?
Marco Donati: L'Apulia Film Commission ha messo il 5%, il ministero il 50 e la RAI, tra co-produzione e antenna, il resto.
Il film avrà un circuito nelle scuole?
Alessandro Di Robilant: Me lo auguro.
30 Ottobre 2009 - di Federico Raponi
Lasciami entrare
di Tomas Alfredson (Svezia, 2008)
2 novembre 2010
"Una delicata storia d'amore che ridefinisce la figura del vampiro contemporaneo"
European Film Award 2009, BAFTA 2010
Alla periferia di Stoccolma nel 1982, il dodicenne Oskar, timido e ansioso, pensa a come vendicarsi dei compagni di scuola che lo sottopongono a duri scherzi. Oskar incontra una coetanea, Eli, trasferitasi con il padre nella casa accanto. Da quando c'è lei, si verificano eventi strani e perfino morti volente. A poco a poco Oskar capisce che Eli é una vampira..,
LA FRASE DA RICORDARE
"- Sei vecchia? - Ho 12 anni. Ma da un sacco di tempo."
Ben X
di Nic Balthazar (Belgio, 2007)
26 ottobre 2010
"Un film sui confini tra realtà e finzione? No, un film sul bullismo"
Miglior film Young About Festival Internazionale Giovani e Cinema 2009
Ben è un diciassettenne come molti altri, ma affetto da una leggera forma di autismo. Ogni mattina, davanti allo specchio, si scopre incapace di mostrare i proprio sentimenti e si sente quasi obbligato a ridere con gli altri. Vittima a scuola delle vessazioni dei compagni di classe, Ben trova rifugio nel mondo virtuale dei giochi al computer: qui può essere un supereroe e vivere una vita diversa. Così, con l'affetto dei genitori e con l'aiuto di un'amica inaspettata, Ben prova a inventare per sé un'esistenza più giusta.
LA FRASE DA RICORDARE
"Vuoi lasciare questo mondo? Allora fallo! Ma io credo tu sia un guerriero; allora combatti! "
Nord
di Rune Denstad Langlo (Norvegia, 2009)
19 ottobre 2010
"Un road movie su motoslitta tra le nevi della Norvegia"
Miglior Regia Tribeca Film Festival 2009
In seguito ad un esaurimento nervoso, l'ex campione di sci Jornar lavora come impiegato sulle piste, sempre teso e depresso. L'amico che tempo prima gli ha portato via la fidanzata lo va a trovare e gli ricorda che con la donna c'è il figlioletto nato dal loro rapporto. Allora Jonar lascia tutto e si mette in viaggio sulla motoslitta. Dopo molte difficoltà, riesce ad arrivare alla casa in mezzo alla neve, dove ritrova il bambino che non aveva quasi mai visto.
LA FRASE DA RICORDARE
"Per adesso sono diretto a nord, forse un giorno considererò di andare a sud."
Note di regia
L’idea
Nel 2005 ho attraversato un periodo di forte depressione, con frequenti attacchi di ansia e di panico. Un giorno sono passato davanti al vecchio ski lift che usavo quando ero bambino. Mi sono fermato e ho cominciato a pensare a tutti quei personaggi bizzarri che, negli anni, avevano lavorato lì. Sempre arrabbiati, esauriti e pieni di alcool. E’ stato lì, mentre ricordavo, che Jomar – il protagonista – ha preso vita.
Il cast
A parte Anders Baasmo Christiansen (Jomar), attore di grande esperienza molto noto in Norvegia, il cast di NORD è quasi totalmente composto da non professionisti.
La maggior parte dei piccoli ruoli, le “comparsate”, sono state affidate ad amici, familiari o persone incontrate in loco. Per esempio, i militari che si vedono nel film sono veri, e si stavano esercitando dove abbiamo girato. Idem gli infermieri dell’ospedale psichiatrico dove Jomar incontra la psicoterapeuta: tutte persone
che lavorano davvero lì. Ma dove trovare un eremita ottantenne della tribù Sámi con esperienza recitativa? Stavamo rinunciando quando abbiamo ricevuto una telefonata dalla casting director, che stava viaggiando per tutta la Norvegia del nord in cerca della persona giusta. Un estremo tentativo l’aveva portata in un
alberghetto locale. A due ore di macchina viveva, in un fiordo isolato, il nostro Ailo...Marte Aunemo, che interpreta Lotte, non era mai stata davanti ad una macchina da presa. E’ originaria di un piccolo paesino vicino a Trondheim e stava facendo visita ai parenti quando ha sentito che c’erano delle audizioni per NORD. Tra più di 200 ragazze Marte si è distinta immediatamente. E la mia ex insegnante di teatro di quando ero bambino interpreta sua nonna nel film.
Mads Sjøgård Pettersen, che interpreta il personaggio di Ulrik, sta per diventare una vera celebrità in patria. Abbiamo visto un suo provino e abbiamo immediatamente saputo che era il nostro uomo.
I luoghi
Il viaggio, nel film, copre una superficie di 1.000 km. Per risparmiare tempo e denaro abbia concentrato le riprese in due regioni. Abbiamo girato tutte le scene prima del viaggio nella zona di Trondheim, una città della Norvegia centrale, e tutto il resto nel nord del paese, vicino a Troms County, a 500 km dal Circolo PolareArtico.
Il film è stato girato nei mesi di febbraio e marzo, i più rigidi dell’inverno: una vera sfida per la troupe, che faticava anche solo a spostarsi di pochi metri per il cambio scena. La bufera di neve che fa da sfondo alla lite tra Jomar e il suo ex miglior amico è vera e ha decisamente contribuito ad enfatizzare la tensione durante le riprese. Molte delle scene in esterni sono state girate in territorio militare. Il piccolo gruppo di case dove Jomar s’imbatte nell’esercitazione dei soldati è per l’appunto il vero teatro delle esercitazioni militari dei soldati norvegesi in partenza per l’Afghanistan.
La scena è stata inserita in sceneggiatura dopo la scoperta di questa location. Morten Borgen e Ronny Dahl, due amici, sono invece le controfigure in tutte le scene di sci. Ronny era uno dei dieci migliori sciatori “liberi” del mondo prima che un brutto incidente mettesse fine alla sua carriera professionale.
L’ultima scena di viaggio del film, quando Jomar scende giù per la montagna, è stata girata l’ultimo giorno di riprese ed è stata più drammatica del previsto. Avevamo piazzato entrambe le controfigure in cima alla montagna. Finita di girare la discesa di uno dei due, una fitta nebbia è scesa avvolgendo ogni cosa. Non vedevamo più il nostro uomo, fermo sul ciglio della montagna con una discesa di 100 metri davanti... Con le radio siamo riusciti a guidarlo giù, tra una piccola slavina e l’altra.
Vedozero
di Andrea Caccia (Italia, 2009)
12 ottobre 2010
"Mosaico generazionale che stupisce per qualità visiva, libertà nel linguaggio e sincerità"
Miglior film innovativo Martini Premiere Awards 2010
Dopo oltre sei mesi di lavoro e più di quattromila video girati da settanta ragazzi, il regista Andrea Caccia ha dato a Vedozero la sua prima forma filmica. Un oggetto poco identificabile, fra diario, documentario e fiction. C’è lo “sbattimento” della scuola, le gioie e le paranoie, lo sballo artificiale e quello naturale, la musica suonata e ascoltata, il culto degli amici, la famiglia mai scontata. E il fidanzato che non arriva mai, le serate vuote, le fughe dalla classe, il dramma della patente, i sogni al lunapark, la filosofia sull’altalena, i jeans che ti fanno un bel culo. C’è anche tutto quello che gli adulti sembrano avere dimenticato. E c’è una domanda: sarà questa l’età più bella...
LA FRASE DA RICORDARE
"..."
Il regista lo definisce «un film diario» ma bisogna aggiungere subito che l’autore non è uno solo, ma settanta. Settanta ragazzi tra i sedici e i diciott’anni, studenti di tre istituti del milanese (il professionale Floriani di Vimercate, lo scientifico Majorana di Rho e il liceo della comunicazione Maddalena di Canossa di Monza): qui, dove il regista Andrea Caccia ha tenuto dei corsi di linguaggio cinematografico, è nata l’idea di mettere in pratica quello che era stato insegnato. E non con cineprese o telecamere digitali, ma con i comunissimi telefonini.
Democratizzazione delle pratiche culturali, si sarebbe detto una volta: non più un unico autore ma tanti, settanta studenti, ognuno coinvolto a pieno titolo nel progetto e ognuno impegnato a girare la propria parte di film. Ma anche un ribaltamento radicale delle pratiche produttive, una sovversione di ruoli e di funzioni che mette in discussione, almeno parzialmente, la centralità «autoriale» del regista (che pure c’è, visto che il lavoro di sei mesi di riprese è stato poi montato e assemblato da Caccia) così da aprire il fare cinema a più soggetti contemporaneamente. E basterebbero queste due caratteristiche per fare di Vedozero un’esperienza unica e un appuntamento importante, che gli ha fatto meritare il Premio della critica al Martini Premiere Awards e ottenere di essere selezionato all’ultimo festival di Rotterdam. Ma c’è dell’altro.
Certo, non è il primo film fatto solo con i telefonini. Tanto per restare in Italia l’attore Pippo Delbono l’anno scorso aveva presentato al festival di Locarno La paura, un film-saggio sull’Italia e le sue tante contraddizioni (a dire la verità, il suo giudizio era molto più crudo e diretto...) dove gli orrori quotidiani filmati appunto con un telefonino costruivano la tessitura di fondo sulla quale l’autore passava dall’indignazione all’invettiva alla lamentazione. Un’operazione «alta», «civile», «d’autore», in linea con la sua produzione teatrale (c’era anche il sordomuto Bobò, attore di tanti suoi lavori) e lontanissima per ambizioni e ricerca di stile dal lavoro dei settanta studenti lombardi. Ma con un elemento importante in comune: la coscienza (elaborata teoricamente in Delbono, forse solo «intuita» nei giovani di Vedozero) che il telefonino - come una volta il Super8 - possiede una valenza estetico- politica che gli deriva dall’essere un mezzo immediato di scavo e di memoria della realtà.
È da qui, da questa funzione messa «spontaneamente» a disposizione dell’utente, che credo si debba partire per capire ed apprezzare il lavoro di Vedozero, dove l’immediatezza a volte un po’ naïf dei ragazzi viene poi filtrata e «rielaborata» dal regista-tutor (che ha appena presentato, alle Giornate degli autori di Venezia il suo ultimo lavoro: La vita al tempo della morte).
Come si sarà intuito è piuttosto difficile riassumere la trama del film, anche se dura solo 77 minuti. Ci sono dei momenti ricorrenti (le paure per le interrogazioni, i legami di coppia, le confidenze tra amiche, le feste serali) e ci sono dei «personaggi» riconoscibili (il «rumorista» che imita le sonorità elettroniche con la bocca, la coppia di fidanzati che si scambiano le fedine e si promettono eterno amore) ma in generale il film procede per accumulo di volti e di situazioni secondo una logica che verrebbe da definire non di causa-effetto ma di affinità (una soggettiva all’interno di un autolavaggio aiuta a «pulirsi gli occhi» dopo una serie di scene notturne).
Ci sono naturalmente dei luoghi che tornano con maggior frequenza di altri, come la scuola, i posti dove i ragazzi si danno appuntamento, le camerette dei vari studenti. Ma ogni tanto ci sono degli squarci visivi che rompono l’omogeneità della materia e aprono il film all’improvviso, regalandogli una spontaneità preziosa: come la gita al mare, di cui non abbiamo le coordinate (dove? quando? perché?) ma di cui ci resta un’indimenticabile inquadratura di due piedi nudi che entrano nell’acqua mentre qualcuno fuoricampo si lamenta della sua temperatura troppo bassa.
Gli adulti entrano in scena solo verso la fine e senza una funzione specificamente narrativa (vorrebbe voglia di saperne di più del padre operaio in cassa integrazione o di quello che si prepara a una campagna elettorale). I dubbi e i problemi di quell’età sono affrontati solo marginalmente, a volte (come sul tema della droga) con una velocità che sa un po’ di superficialità o di «stanchezza» (basta con queste domande, sembrano voler dire). L’unico vero soggetto sono quei settanta giovani e il loro mondo quotidiano, mai «spiegato» o «indagato» ma piuttosto registrato «a futura memoria», colto nella sua immediatezza e spontaneità, a volte di difficile comprensione. Ma più per gli adulti. Per gli altri è uno specchio in cui guardarsi e nascondersi nello stesso tempo.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 15 settembre 2010
I gatti persiani
di Bahman Ghobadi (Iran, 2009)
5 ottobre 2010
"Un film di denuncia, girato senza autorizzazione, dal grande valore morale e artistico"
Premio Speciale della Giura, Un Certain Regard, Cannes 2010
A Teheran oggi, due musicisti, un ragazzo e una ragazza, sognano di formare una band con la quale andare a suonare a Londra e nel resto d'Europa. Cominciano a muoversi nel mondo underground della città e trovano altri coetanei interessati al progetto. Ma l'ostacolo principale resta quello di ottenere passaporti e visti per l'espatrio...
LA FRASE DA RICORDARE
"- Avete chiesto un'autorizzazione? - Ma quale autorizzazione, non rilasciano nessuna autorizzazione!"
Agli occhi dell’Islam la musica è impura, in quanto fonte di allegria e gioia. Sentire una donna cantare è considerato un peccato, per le emozioni che suscita…
Per gli ultimi 30 anni in Iran, un certo tipo di musica e soprattutto la musica occidentale è stata virtualmente proibita dalle autorità. E’ rimasta nascosta negli ambienti underground: si deve suonare underground e ascoltare underground.
Anche se questa musica è stata nascosta non è mai sparita. In tutti questi anni solo in pochi hanno osato prenderne atto. Questa cosa mi ha incuriosito e così è nata l’ idea del film.
Il cinema mi ha dato il coraggio di fare I gatti persiani. Dal momento in cui mi sono avventurato nel cuore di Teheran e sono sceso nelle cantine buie dove si suona questo tipo di musica, ho scoperto un mondo strano, diverso e affascinante. Un mondo nascosto di musicisti ribelli, non visti e non ascoltati dalla maggior parte della popolazione della città. Ho assistito al loro mondo, alle loro vite, alle loro preoccupazioni artistiche, ho visto i pericoli che affrontano, i problemi con i loro vicini, gli arresti, le aggressioni subite e molto altro… quando ho visto tutto quello che devono passare semplicemente perché cantano, suonano uno strumento, amano la musica…mi sono detto che questo film si doveva fare.I gatti persiani è la prima vera testimonianza della realtà di questi giovani musicisti.
Bahman Ghobadi
GEOtag
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