di Nikita Mikhalkov, 2007
24 febbraio 2009
"Un thriller psicologico con una sceneggiatura attualizzata ed efficacissima sulla giustizia e sul libero arbitrio"
Leone d'oro speciale per il complesso dell'opera
In una palestra adattata ad aula, dodici persone, costituitesi in giuria, devono stabilire la colpevolezza o meno di un giovane ceceno accusato di aver ucciso il padre adottivo, un ufficiale dell'esercito russo. Fuori: la Russia e la Cecenia a urlare una bruciante attualità. Ma nel meccanismo qualcosa si inceppa, e la certezza della pena viene messa in dubbio da un giurato che, poco a poco, costringe ognuno a rivedere le proprie posizioni, rendendo la sentenza più difficile del previsto.
La frase da ricordare
"Tutto può succedere, tutto"
Spesso i suoi precedenti film sono stati ispirati da opere letterarie. In questo caso la base è invece "La parola ai giurati" di Sidney Lumet. Come mai questa scelta?
Nikita Michalkov: Prima di tutto devo conefessare che vedrò per la prima volta il film nella sua versione definitiva soltanto fra qualche ora. Non ho avuto il tempo di vederlo visto che ero, e sono, impegnato nelle riprese di un'altra pellicola. Di certo posso affermare che si tratta di remake, ma solo al 13%, e che sia un film che letteratura o meno, parla della Russia. Il film di Lumet mi è servito da impulso, il desiderio di vedere 12 persone intente a risolvere il problema di un perfetto sconosciuto. Un film sulle responsabilità. Il ragazzo è un indifeso, e l'unica cosa che si sa di lui è che forse ha ucciso il padrigno. E' importante che non ci si fermi alle apparenze, o che comunque si ragioni quando si decide il destino di qualcuno. Non basta un'alzata di mano, dieci minuti di corsa. Allo spettatore, al contrario, viene mostrato anche il passato di questo ragazzo in modo che sia chiaro come non ci si possa giudicare senza conoscere. Non esiste una vita umana che non sia importante. Ci sono diverse scale sociali, ma davanti a Dio siamo tutti uguali.
E' stato importante quindi concentrarsi sulle relazioni tra gli uomini….
Nikita Michalkov: Il problema oggigiorno è che la gente non ascolta. Ci si chiede come stai, ma non si attende la risposta, spesso neanche la si ascolta. Stiamo perdendo la nostra immunità, il nostro essere uomini. Dostojevski faceva dire: "Secondo me sono proprio i prossimi che non si possono amare; gli altri, i lontani, forse sì, si possono amare" dimostrando la difficoltà degli uomini di essere uomini veri, di sforzarsi di comprendere le azioni e le persone.
Ha in qualche modo inciso l'eccidio di Beslan di tre anni fa nella scelta della realizzazione di questo film?
Nikita Michalkov: No, il discorso sulla Cecenia è solo un contrappunto che offre la possibilità, come già detto, di far vedere un passato del ragazzo che nessuno tra i giurati si immagina.
Forse il film, a causa dei suoi 153 minuti, non verrà distribuito, o se sì, forse tagliato…
Nikita Michalkov: Non sono pronto a tagliare nulla, e non perché il film sia perfetto. Quando due persone parlano ognuna di loro dedica del tempo all'altro. Certo, questa è l'epoca dello zapping, del se non mi piace cambio subito, ma deve rimanere il rispetto. Se io dedico tempo a te, tu lo devi dedicare a me quando ti parlo. E' poi lì che si crea quella collaborazione tra spettatore e film che crea l'atmosfera di vero cinema. Il silenzio non è un buco, ma un condensato di energia.
L'uccellino finale cosa rappresenta?
Nikita Michalkov: Le immagini hanno la possibilità di evocare un messaggio. E' questa la forza del cinema. L'uccellino è il tredicesimo giurato, quello che evita che un innocente sia condannato. E' la volontà di dio, è colui che difende lo sguardo di un bambino indifeso.Intervista di Andrea D'Addio
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